Disturbi della mano: chirurgia, unica soluzione?
Non si può stringere una mano con il pugno serrato.
La mano come tutte le strutture straordinariamente performanti e tecnologicamente avanzate è in grado di garantire prestazioni inimmaginabili sia quando si “parla “ di movimento, sia quando si “parla” di percezione. Il prezzo da pagare però è quello della sua vulnerabilità. Se da un lato infatti è in grado di sopportare notevoli sovraccarichi, dall’altro può soffrire di diversi quadri disfunzionali che possono produrre dolore, riduzione della mobilità e, quando coinvolgono anche il sistema neurale, alterazioni del tatto e della sensibilità.
Sentire amici e conoscenti parlare di artrosi, tunnel carpale, dito a scatto o della “misteriosa” sindrome di De Quervain o dell’inquietante Morbo della mano Benedicente (Dupuytren) è quasi ormai all’ordine del giorno.
Spesso dagli stessi amici si apprende l’informazione che alla fine “è stato necessario operarmi”, ma altrettanto spesso che, pur a fronte dei comprensibili rischi chirurgici (anestesia, sutura, possibili infezioni, cicatrici ,….) il risultato finale non è stato all’altezza delle aspettative.
In questo post vorremmo poi approfondire il significato e il peso di… alla fine.
Quasi sempre ci aspetteremmo che con il termine “fine” si sottolinei il completamento di un percorso e di una strategia terapeutica, mentre invece scopriamo frequentemente come l’approccio si sia stato quasi esclusivamente l’assunzione episodica o continuativa di vari farmaci antinfiammatori e antidolorifici, utili, forse, a trattare il sintomo ma molto spesso non funzionali a limitare la causa.
Tutte queste patologie, sono in realtà di relativamente facile diagnosi, e se, individuate precocemente, possono quasi sempre evitare, o almeno ritardare di molto, l’intervento chirurgico che, al contrario molto spesso diventa terapia d’elezione da parte degli specialisti
Sopportare il dolore non è praticamente mai una soluzione, aiuta solo a cronicizzare!
Il nostro corpo non ci dice “bugie” e, attraverso il dolore ci comunica che qualcosa non sta andando bene e che sarebbe “cosa buona e giusta, doverosa e salutare” occuparcene.
Imparare a gestirlo riducendolo, ma soprattutto lavorando efficacemente sulla causa che lo sostiene, sono gli obiettivi primari della fisioterapia, che anno dopo anno, ha incrementato, e incrementa, le strategie terapeutiche utili potendo contare su tecniche e tecnologie che sono sempre più all’avanguardia, e sempre meno invasive
Anche l’alimentazione è ormai considerata da molti, uno degli elementi che possono permettere di ridurre i quadri infiammatori e una delle attenzioni, o dei sacrifici, che non sono più considerati solo finalizzati al raggiungimento di una bella immagine o del peso forma.
Il modello bio-psico-sociale ci ha poi ormai insegnato che il dolore fisico, soprattutto se cronico, trova spesso radici nell’aspetto psicologico con una pesante ricaduta sul modo sociale di chi ne soffre.
Pensare di farsi supportare anche in quest’ambito, non è certo una “cosa da pazzi”, ma è il prendere coscienza del fatto che il dolore fisico non ha spesso solo una causa meccanica.
Il tempo che passa, molto molto raramente porta soluzioni efficienti, nella maggior parte dei casi, come già detto, cronicizza un disturbo e rende più complicato il percorso utile a liberarsene.
Decidere di affidarsi a chi valuta nell’insieme con una visione ad ampio raggio questi aspetti, potrebbe rivelarsi una soluzione vincente.